Cinque Oscar, i maggiori, a “The Artist”, che aveva 10 nomination; altri cinque ma più tecnici, a Scorsese che ha realizzato con “Hugo Cabret” un film innamorato del sogno del cinema, compreso un meritatissimo premio alla coppia Ferretti-Lo Schiavo; una terza statuetta alla Thatcher di Meryl Streep cui manca solo un quarto Oscar per eguagliare Katharine Hepburn. Il vento dell’Oscar, a 84 anni, ha compiuto il suo giro, tornando a premiare il film muto, come se la storia del cinema si riavvolgesse su se stessa, stufa di trovate tecnologiche, di tre dimensioni, di virtuale. Sia il film di Hazanavicius (bisognerà abituarsi al nome) sia quello di Scorsese sono due viaggi meravigliosi dentro la storia di quello che il cinema in questi decenni ci ha regalato: consigliare di vederli non è solo obbedire alla logica del “vediamo se il premio è giusto”, ma anche per una sorta di ribellione a considerare il cinema solo una faccenda di tecnica, di computer, di realtà virtuale, di tre dimensioni, di formato dello schermo, quando invece la cosa che lo anima è lo sguardo, la parola, il sentimento ed è per questo che i due film citati sono piaciuti e hanno vinto, perché ci muovono dentro qualcosa nel cuore. Sì, nel cuore e non solo cinefilo. Non succedeva dal 1929 che trionfasse una storia semplice, ingenua, in bianco e nero e senza parole. In genere il premio di Hollywood, nella sua storia, ha marchiato i grandi kolossal, il cine spettacolo, il cine giocattolo, ma da tempo i votanti dell’Academy hanno cambiato corsia e quest’anno hanno favorito in tutti e cinque gli Oscar maggiori proprio il film del francese Michel Hazanavicius, regista medio di successo su cui in patria nessuno prima di Cannes, dove gli è stato preferito l’oggi ignorato Terrence Malick dell’”Albero della vita”, avrebbe puntato un euro.
MUSICAL E MAGIA - Ma ora il cinema ha voglia di ripensare alla sua storia, ed ecco il successo di questo melò dove the artist del muto perde la gloria all’avvento del parlato ma viene salvato da una collega (e dal suo cagnolino). È anche una rivincita, 50 anni, per “Cantando sotto la pioggia”, il musical che trattava lo stesso problema del passaggio difficile dal muto al sonoro. Scorsese, con il suo magico “Hugo Cabret” ha eguagliato in quantità il collega francese ma certo il peso specifico delle statuette è diverso, anche se va isolata quella alla straordinaria coppia Ferretti (scenografo di Fellini) e signora Lo Schiavo, alla terza premiazione, autori del design fondamentale per il film che si svolge tutto nella stazione ferroviaria di Parigi e riporta in vita il pionere del fantasy Méliès. Insomma, l’Oscar 2012 si volta indietro e non gli importa niente dei belli come George Clooney e Brad Pitt, che hanno perso alla grande pur essendo anche bravi: li ha battuti un ignoto francese con i baffetti malandrini, Jean Dujardin, che aveva messo a rischio i pronostici con una foto audace, come se andasse sul palco Douglas Fairbanks jr. o Clark Gable.
TERZO OSCAR PER MERYL STREEP - A Meryl Streep nessuno poteva toglierlo, il premio, lei che ha avuto 17 nomination, battendo ogni record: la sua bravura in "The Iron Lady" è indiscutibile, eccezionale, e misurata, ricreando dall’interno una discussa figura politica inglese. Fra i non protagonisti Octavia Spencer vince per “The help”, aggiunge una statuetta agli artisti di colore, e la dedica alla sua patria, l’Alabama, che fu culla del razzismo. Christopher Plummer, a 82 anni, due meno degli Oscar, sale sul palco per la prima volta e per merito del film “The Beginners”. Restato a zampe vuote il cagnolino, un jack russell terrier, coprotagonista di “The artist”, ma ancora non hanno pensato a creare una sezione per il miglior animale del cinema: in genere ci pensano i cartoni animati a risarcirli, ed infatti il geniale “Rango”, nello stile western desertico di Sergio Leone, ha meritatamente vinto anche sulle sponsorizzate furberie del “Gatto degli stivali”. La miglior sceneggiatura originale non poteva non andare che a "Midnight in Paris" di Woody Allen, refrattario in genere ad essere consacrato, ma stavolta premiato anche dagli incassi (quasi 9 milioni anche in Italia, poco meno del cinepanettone): ma il suo viaggio paranormale nella Parigi intellettuale degli anni 20 ha davvero un quid di genialità aggiunta sul piano dell’invenzione anche di scrittura, dell’humour con cui mostra la cultura (avete notato come sia presente la Francia in questa edizione degli Oscar?).
IL FILM STRANIERO - Infine il film straniero, da cui l’Italia era stata ancora una volta già esclusa per la scelta di un bel film non adatto, “Terraferma” di Crialese. Ha vinto, confermando ogni sospetto, il bellissimo “Una separazione” dell’iraniano Asghar Farhadi. Un premio meritatissimo rovinato solo dalle intemperanze dell’Iran che lo promuove come un Oscar contro Israele, nel senso che anche un film israeliano stava tra i cinque nominati. Pura follia, era più giusto dire che un regista iraniano aveva vinto, nonostante lavori in un paese dove il regime mette in galera i suoi talenti migliori (Panhai) proibendo la sacrosanta liberta d’espressione.
Fonti:Ansa
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